Relazione di padre Giulio Michelini
Giulio Michelini ofm La spogliazione per essere fratelli Assisi. Inaugurazione santuario della spogliazione di San Francesco – 15 maggio 2017 1. Lo spogliarsi di Dio nella lettura cabalistica della creazione 2. Giuseppe spogliato dai fratelli diventa capace di perdono e di misericordia 3. Gionata si spoglia del mantello per Davide 4. Il Cristo e la spogliazione della divinità: la sua umanità come dono per gli uomini e la creazione 5. Il Cristo e il deporre le vesti durante la lavanda dei piedi 6. Il Cristo e la spogliazione delle vesti prima della crocifissione e sulla croce 7. Lo spogliarsi del Risorto da ogni rivalsa, e il perdono dato ai discepoli 8. La spogliazione di Francesco per la lotta e per rivestirsi di Cristo 9. Una scena battesimale? Rilettura della spogliazione di Francesco a partire da Mc 14,51-52 Introduzione Prima di commentare la pagina francescana che fornisce lo sfondo al nuovo santuario di Assisi, affrontiamo il tema della spogliazione nella Bibbia, e non tanto (o soltanto) analizzando i luoghi nei quali in essa appaiono i verbi dello stesso campo semantico (“spogliare”, “spogliarsi”; ad es., nel TM טשׁפ e nel NT ἐκδύω), quanto piuttosto per passare attraverso quello che papa Francesco – nella sua lettera al Vescovo di Assisi del 16 aprile u.s. – ha definito il «modello originario di ogni “spogliazione”», Cristo. Trattando della spogliazione a partire dal Primo Testamento, e transitando per il modello cristologico, potremo dare qualche spunto per l’interpretazione della scena della spogliazione di san Francesco d’Assisi. Già diverse indicazioni, dal punto di vista biblico, vengono dalla Lettera pastorale del vescovo Domenico del 25 dicembre 2016 – dove si accenna al tema della nudità nell’Eden, o alla nudità di cui parla Giobbe («Nudo uscii dal seno di mia madre»; cf. Gb 1,21). Ovviamente, la Lettera di Sorrentino non voleva esaurire le suggestioni bibliche. A guardar bene, infatti, la nudità nella Bibbia non ha un valore univoco. Si pensi non solo a quella di Adamo dopo la caduta, ma anche a quella di Noè, che insieme dicono la vergogna e la perdita della dignità. Proprio dal misterioso episodio di Noè in Gn 9 apprendiamo poi che l’espressione “vedere la nudità” «ha intrinsecamente a che fare con un atto indecente, teso a violare l’intimità più profonda di una persona», e così “scoprire la nudità” «ha sempre a che vedere con azioni indecenti, con umiliazioni e con rapporti sessuali illeciti» (F. Giuntoli, Genesi 1–11, 160-161). Il verbo “spogliare”/“spogliarsi”, poi, viene usato nella Bibbia, come vedremo, soprattutto in senso comune, come quando ha per soggetto l’amante del Cantico dei cantici, che dice al suo amato «Mi sono tolta la veste; come indossarla di nuovo?» (Ct 5,3), oppure quando nel libro di Ester greco si legge che la regina si spogliò delle vesti di servitù, per rivestirsi di quelle di gloria (Est 5,1 LXX). Ma allora, in quale senso, partendo dalle Scritture, si può vedere il valore positivo della spogliazione di Francesco di Assisi? 1. Lo “spogliarsi” di Dio nella lettura cabalistica della creazione Partiamo da lontano, ovvero da quella interpretazione biblica cabalistica che è quanto di più vicino a quella che noi chiamiamo la mistica, ovvero una modalità di conoscenza che – scrive Romano Guardini ne L’opposizione polare – è assimilabile a quella dell’intuizione simbolica. Iniziamo proprio da dove non parrebbe possibile, cioè dallo spogliarsi di Dio stesso. Una citazione da un testo del XII sec. ci aiuta: «Come produsse Dio il mondo, come lo creò? Come un uomo trattiene il respiro, e si contrae in se stesso, in modo che il poco possa contenere il molto, così anche Dio contrasse la sua luce di una spanna, e il mondo rimase come tenebre». È l’idea della contrazione o ritirarsi (tzimtzum) di Dio, un movimento all’interno della divinità precedente alla creazione stessa. Per dirlo con le parole di Enzo Bianchi, «questa concezione afferma che Dio per creare ha dovuto contrarsi. Il Dio che è tutto, che è l’essere nella sua pienezza, per creare ha liberamente operato un atto di concentrazione della propria essenza divina su di sé. Dio ha operato una discesa nella sua più intima profondità, si è ritratto da se stesso su se stesso per suscitare qualcosa di altro da lui, fuori da lui, che non sia di essenza e natura divina. […] Questo tema del ritirarsi di Dio appare suggestivo e fecondo di sviluppi possibili anche in ambito teologico cristiano» (Adamo, dove sei?, 108). 2 Ovviamente, in questo modo abbiamo parlato di una spogliazione che è immagine o metafora di qualcosa di più che un denudarsi o togliersi un vestito: si tratta del togliere lo sguardo da sé per porgerlo sull’altro. Con un linguaggio analogico ma, come detto, mistico, si può affermare che Dio si è spogliato di qualcosa per lasciare spazio alle creature. 2. Giuseppe spogliato dai fratelli diventa capace di perdono e di misericordia Il secondo testo invece riguarda la più nota spogliazione del libro della Genesi, quella di Giuseppe, a cui potrebbe essersi ispirato anche il Gesù del vangelo di Matteo, come si dirà più sotto. Gn 37,28-34. 18 Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono contro di lui per farlo morire. 19 Si dissero l’un l’altro: «Eccolo! È arrivato il signore dei sogni! 20 Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna! Poi diremo: “Una bestia feroce l’ha divorato!”. Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!». 21 Ma Ruben sentì e, volendo salvarlo dalle loro mani, disse: «Non togliamogli la vita». 22 Poi disse loro: «Non spargete il sangue, gettatelo in questa cisterna che è nel deserto, ma non colpitelo con la vostra mano»: egli intendeva salvarlo dalle loro mani e ricondurlo a suo padre. 23 Quando Giuseppe fu arrivato presso i suoi fratelli, essi lo spogliarono della sua tunica, quella tunica con le maniche lunghe che egli indossava, 24 lo afferrarono e lo gettarono nella cisterna: era una cisterna vuota, senz’acqua. Giuseppe, “il signore dei sogni”, è il fratello prestigioso della famiglia di Giacobbe. È il figlio privilegiato di Israele, e questo non gli risparmia l’invidia dei fratelli. Proprio a causa della “tunica dalle lunghe maniche” è rigettato, venduto, quasi ucciso, creduto morto dal padre. Il suo successo alla corte del Faraone non avverrà senza sofferenza, e non gli saranno risparmiate le prove e i dolori: il grande notabile d’Egitto diventerà tale perché rifiutato dai fratelli maggiori. Anche se egli stesso è in qualche modo colpevole di una certa arroganza, o dell’incapacità di accogliere i fratelli, saprà alla fine dare loro il perdono, vedendo anche quel bene che Dio ha permesso emergesse nel male che gli altri figli di Israele gli hanno fatto. La spogliazione delle vesti non solo è motivo di sofferenza e di prova per Giuseppe, ma anche una vera e propria tortura per il padre Giacobbe, come si legge in Gn 37: « 32 Poi mandarono al padre la tunica con le maniche lunghe e gliela fecero pervenire con queste parole: “Abbiamo trovato questa; per favore, verifica se è la tunica di tuo figlio o no”. 33 Egli la riconobbe e disse: “È la tunica di mio figlio! Una bestia feroce l’ha divorato. Giuseppe è stato sbranato”. 34 Giacobbe si stracciò le vesti, si pose una tela di sacco attorno ai fianchi e fece lutto sul suo figlio per molti giorni». Giuseppe, però, dalla violenza che i fratelli gli hanno inferto attraverso la sua spogliazione ha imparato a spogliarsi della vendetta. Riesce infatti a perdonare i suoi fratelli, e a diventare così per essi strumento di salvezza, come si legge nelle parole che dirà ad essi, rivelando la sua identità: «Io sono Giuseppe, il vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita» (Gn 45,5-6). 3. Gionata si spoglia del mantello per Davide Un testo biblico particolarmente suggestivo, nel quale compare il verbo ebraico spogliarsi (che nella traduzione CEI è reso però con “togliersi”), riguarda l’amicizia di Gionata e Davide, in 1Sam 18: 1 Quando Davide ebbe finito di parlare con Saul, la vita di Giònata s’era legata alla vita di Davide, e Giònata lo amò come se stesso. 2 Saul in quel giorno lo prese con sé e non lo lasciò tornare a casa di suo padre. 3 Giònata strinse con Davide un patto, perché lo amava come se stesso. 4 Giònata si tolse il mantello che indossava e lo diede a Davide e vi aggiunse i suoi abiti, la sua spada, il suo arco e la cintura. Rispetto alla scena della spogliazione di Giuseppe, emerge qui il tema della spogliazione volontaria. Gionata non è più obbligato, come Giuseppe, a spogliarsi di qualcosa: per un amico dona quello che ha, addirittura un bene prezioso, il mantello. Ci viene facile il confronto con un episodio di cui è protagonista san Francesco, al ritorno da Siena, e narrato da San Bonaventura: «Una volta, mentre ritornava da Siena, incontrò 3 un povero. Si dava il caso che Francesco, a causa della malattia, avesse indosso sopra l’abito un mantello. Mirando con occhi misericordiosi la miseria di quell’uomo, disse al compagno: “Bisogna che restituiamo il mantello a questo povero: perché è suo. Difatti noi lo abbiamo ricevuto in prestito, fino a quando ci sarebbe capitato di trovare qualcuno più povero di noi”» (FF 1143). Ma lo spogliarsi del mantello da parte di Francesco è narrato più e più volte nelle antiche biografie. 4. Il Cristo e la spogliazione della divinità: la sua umanità come dono per gli uomini e la creazione Arriviamo così facilmente a Gesù Cristo. Nella lettera del vescovo Sorrentino leggiamo che «la nudità a cui Francesco si offre ha un preciso modello: Gesù crocifisso». Prima di vedere il tema della spogliazione di Gesù crocifisso, ricordiamo però due altre modalità di spogliazione del Cristo. La prima riguarda l’incarnazione del Verbo, a partire dall’inno, probabilmente prepaolino, nella lettera ai Filippesi: Fil 2,6-11. [Cristo Gesù], 6 pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, 7 ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, 8 umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9 Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10 perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11 e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. Anche se il centro dell’inno è l’abbassamento del Cristo nell’accettazione della sua morte per gli uomini, non manca qui il tema dello spogliarsi di se nell’incarnazione. L’inno infatti «celebra il cammino che Gesù ha percorso. L’arco è completo: la preesistenza, l’incarnazione, la vita terrena, la morte in croce, l’esaltazione. Non è una speculazione sulla natura di Cristo, né direttamente un discorso sulla sua persona, ma il racconto della sua storia» (B. Maggioni, Il Dio di Paolo. Il vangelo della grazia e della libertà, 64). Questo percorso di spogliazione volontaria di sé troverà un’altra manifestazione nella scena di Gesù che depone le vesti durante l’ultima cena, nella versione di Giovanni. 5. Il Cristo e il deporre le vesti durante la lavanda dei piedi Ma è il vangelo secondo Giovanni a parlare di una speciale spogliazione di Gesù, quella durante la sua cena di addio. Gv 13,1-5. 1 Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2 Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3 Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4 si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5 Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. L’evangelista usa qui, al v. 4, lo stesso verbo, τίθημι, tithenai, “deporre”, usato in Gv 10,11.15.17-18 per dire il “deporre” della vita di Gesù: «Il buon pastore depone la propria vita per le pecore» (CEI: «dà la propria vita»). Fatto questo, si cinge un asciugamano alla vita, come un servo, o come Abramo stesso quando accoglie persone importanti. Lavare i piedi come segno di ospitalità è documentato nella Bibbia in Gn 18, ma nell’interpretazione rabbinica è Abramo stesso che lava i piedi ai tre angeli/uomini (così anche nell’apocrifo Testamento di Abramo, probabilmente I sec. d.C., è Abramo stesso che lava i piedi all’arcangelo Michele). Qui Gesù si spoglia volontariamente delle proprie prerogative di “Signore” per poter servire i fratelli, dando loro un esempio. 6. Il Cristo e la spogliazione delle vesti prima della crocifissione e sulla croce Infine, il tema della spogliazione del Cristo, prima della crocifissione: 4 Mt 27,27-31. 27 Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. 28 Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, 29 intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». 30 Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. 31 Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo. Per quanto riguarda invece la nudità del Crocifisso, i vangeli non ne parlano esplicitamente. Secondo le fonti storiche, i criminali destinati alla crocifissione normalmente venivano spogliati di tutti i vestiti, perché erano frustati mentre venivano portati al patibolo. Lo attestano Dionigi di Alicarnasso (Antichità Romane 7.69.2), Valerio Massimo (Facta 1.7.4), e anche Flavio Giuseppe (Antichità 19.4.5). Marco però scrive che soltanto poco prima della crocifissione si divisero le vesti di Gesù (15,24), e questo potrebbe significare che la spogliazione, forse completa, del crocifisso, solo all’ultimo momento, avvenne come concessione che i Romani potrebbero aver fatto al senso religioso ebraico del pudore (cf. R. Brown, The Death of the Messiah, 870). 7. Lo spogliarsi del Risorto da ogni rivalsa, e il perdono dato ai discepoli Ma se passiamo dalla spogliazione di Gesù in senso proprio, vi è una ulteriore spogliazione, ancora più importante, che è quella riguardante piuttosto un atteggiamento interiore, che dice il rinunciare non tanto ad un abito, ma ad una rivalsa, proprio come ha fatto il Risorto. Ci riferiamo alla pagina del racconto matteano della manifestazione del Risorto alle donne. In Mt 28,8-10 leggiamo: 8 Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. 9 Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. 10 Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno». Particolarmente interessante, anche per la teologia che se ne può ricavare, è la questione testuale, ovvero il modo in cui questa frase di Gesù è stata trasmessa negli antichi manoscritti. Noi sentiamo Gesù dire «Andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea» (Mt 28,10), ma questa lezione non è l’unica attestata. Nella prima mano dell’importante codice Sinaitico, databile al IV secolo, non si trova il pronome greco per «miei», col risultato che Gesù direbbe: «Andate ad annunciare ai fratelli». Se poi usciamo per un momento dal Primo vangelo, si può osservare che questa frase è molto simile a quella detta da Gesù a Maria Maddalena in Gv 20,17, «va’ piuttosto dai miei fratelli», ma la cosa strana è che anche in quel caso il codice Sinaitico ometta il pronome che qui manca però anche nel codice di Beza (V sec.), nel codice di Washington (IV-V sec.) e in alcuni altri testimoni. È ancora più curioso che per Mt 28,10 alcuni codici medievali, contro la maggioranza, abbiano sostituito «fratelli» con «discepoli», forse assimilando la frase di Gesù a quanto l’angelo aveva detto proprio poco prima alle donne, in Mt 28,7: «andate a dire ai suoi discepoli». La nostra impressione è che da alcuni testimoni testuali emerge un certo disagio per il fatto che Gesù abbia chiamato i discepoli «suoi fratelli». È più facile credere che siano o “semplicemente” discepoli o fratelli “di altri”. La lezione «ai miei fratelli» potrebbe invece essere un segno del perdono dato dal Risorto, che non nutre alcun rancore verso coloro che l’hanno abbandonato poche ore prima. Gesù qui è come Giuseppe, il figlio di Giacobbe, di cui è detto sopra, e che è capace di perdonare. Il crocifisso che, risorto, perdona i suoi fratelli mentre si fa riconoscere, ci insegna che il perdono – quello che Giuseppe ha dato a chi l’ha abbandonato in un pozzo – è l’unica chiave possibile per le relazioni fraterne. Gesù, ma questa volta solo secondo il vangelo di Luca, aveva già dato il suo perdono dalla croce, dicendo «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Tali parole però (ancora una volta!) non sono attestate in modo sicuro nella tradizione manoscritta, e dalle edizioni critiche moderne del Nuovo Testamento sono ritenute non appartenenti in origine al testo lucano (perché assenti in papiri antichi o in manoscritti importanti come il Vaticanus), anche se comunque probabilmente gesuane. Allo stesso modo in cui il nome «miei fratelli» non si trova in alcuni manoscritti, così anche nella storia della trasmissione di Lc 23,34 sembra essere posta in discussione la possibilità del perdono. Gesù, invece, se riteniamo sicure le sue parole dalla croce, dona un perdono addirittura non richiesto a coloro che lo stanno crocifiggendo. Risorto, 5 darà agli Undici, che pure l’hanno abbandonato e tradito, e che secondo Matteo da lì a poco incontrerà sul monte in Galilea (cf. Mt 28,16), la possibilità di essere non solo fratelli tra loro, ma suoi fratelli. La spogliazione di Gesù qui è davvero da ogni atteggiamento rivendicazionista e di vendetta. 8. La spogliazione di Francesco per la lotta e per rivestirsi di Cristo Siamo finalmente arrivati alla spogliazione di Francesco. Prendiamo in esame anzitutto la Vita Prima di Tommaso da Celano (FF 344-345). Comparso davanti al vescovo, Francesco non esita né indugia per nessun motivo: senza dire o aspettar parole, si toglie tutte le vesti e le getta tra le braccia di suo padre, restando nudo di fronte a tutti. Il vescovo, colpito da tanto coraggio e ammirandone il fervore e la risolutezza d’animo, immediatamente si alza, lo abbraccia e lo copre col suo stesso manto. Comprese chiaramente di essere testimone di un atto ispirato da Dio al suo servo, carico di un significato misterioso. Perciò da quel momento egli si costituì suo aiuto, protettore e conforto, avvolgendolo con sentimento di grande amore. Il nostro atleta ormai si lancia nudo nella lotta contro il nemico nudo; deposto tutto ciò che appartiene al mondo eccolo occuparsi solo della giustizia divina! Si addestra così al disprezzo della propria vita, abbandonando ogni cura di se stesso, affinché sia compagna della sua povertà la pace nel cammino infestato da insidie e solo il velo della carne lo separi ormai dalla visione di Dio. Secondo questo scritto, lo spogliarsi di Francesco è legato al tema della lotta. Come i lottatori nel ginnasio, nelle palestre e allo stadio lottavano nudi ed erano unti dell’olio per sfuggire alla presa degli avversari, così la nudità di Francesco richiamerebbe la lotta contro il nemico ma anche contro se stesso. Ma altre biografie arricchiscono di ulteriori significati la scena. Nella Vita Seconda Tommaso da Celano scrive che davanti a molti che si erano lì riuniti e in ascolto, Francesco, spogliandosi delle sue vesti, disse: «D’ora in poi potrò dire liberamente: Padre nostro, che sei nei cieli, non padre Pietro di Bernardone. Ecco, non solo gli restituisco il denaro, ma gli rendo pure tutte le vesti. Così, andrò nudo incontro al Signore» (FF 597). San Bonaventura invece sottolinea la conformazione di Francesco a Cristo Crocifisso: «Così, dunque, il servitore del Re altissimo, fu lasciato nudo, perché seguisse il nudo Signore crocifisso, oggetto del suo amore; così fu munito di una croce, perché affidasse la sua anima al legno della salvezza, salvandosi con la croce dal naufragio del mondo» (FF 1043). 9. Una scena battesimale? Rilettura della spogliazione di Francesco a partire da Mc 14,51-52 Siamo così finalmente giunti all’ultima tappa della nostra riflessione. Per completarla ci serviamo di uno studio dell’esegeta Giacomo Perego, La nudità necessaria, sul ruolo del giovanetto della passione secondo Marco (Mc 14,51-52), che fuggì via nudo all’arresto del Signore. È da questo lavoro che cogliamo lo spunto per affermare che – come riportato dal Celano nella Vita Seconda – il poter dire a Dio “Padre” è in fondo un gesto battesimale, una nuova nascita. La nudità di Francesco dice non solo la povertà o la nudità della croce, ma ancora di più quella della rinascita. È proprio in questo modo, spiega Perego, che potrebbero essere interpretati i versetti della scena così suggestiva, tramandata solo dal Secondo vangelo, a cui ci riferiamo: « 50 Allora tutti abbandonarono [Gesù] e fuggirono. 51 Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. 52 Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo». Tutto si gioca infatti sulla persona di questo neaniskos, il giovinetto che compare non solo qui, ma anche nella tomba vuota, vestito di una veste bianca (Mc 16,5). Nel Nuovo Testamento, poi, e anche nella letteratura extra-biblica, il tema del battesimo in connessione con il duplice atto della spogliazione e del rivestimento è molto frequente. Lo spogliarsi di Francesco di quello che possedeva, che gli era stato dato dal padre terreno, Pietro di Bernardone, permette così al santo, nella sua nudità, non solo di compiere un gesto di povertà, ma di esprimere in modo più che evidente la presa di coscienza del proprio battesimo e della propria figliolanza in rapporto al Padre celeste. Conclusione Siamo partiti da quello che – ancor prima dell’evento storico della nascita di Gesù e di ogni sua ulteriore spogliazione, nella vita quotidiana, e nella passione – è lo spogliarsi di Dio per dare spazio agli altri. Attraverso la mistica cabalistica si è detto che per lasciare spazio al mondo è necessario ritrarsi. In Giuseppe, spogliato dai fratelli, vi è il prototipo del giusto sofferente che però, spogliato per l’invidia fraterna, è capace di perdonare, liberandosi così da ogni sentimento di vendetta e rivalsa. La spogliazione è però anche segno di generosità verso l’altro, come si è visto nel dono del proprio mantello da parte di Gionata al suo amico Davide. Gli stessi temi si trovano nella vita e nella morte del Cristo. Egli è colui che volontariamente si spoglia delle vesti – come dice Giovanni – per servire i suoi fratelli; è colui che, spogliato delle vesti, sale liberamente sulla croce; è il Risorto che, spogliandosi come già Giuseppe di ogni sentimento di rivalsa, offre il perdono ai suoi e a tutti gli uomini. Nel gesto di Francesco di Assisi questi elementi si ritrovano armonizzati e fanno sì che quello che il santo ha compiuto sia un richiamo per tutti noi a vivere nella Chiesa, nella sobrietà, possibile però soltanto grazie alla riscoperta del nostro essere fratelli gli uni degli altri, capaci di condividere i nostri mantelli, perché figli dello stesso e unico Padre dei cieli.
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